RECENSIONI




IL FEMMINILE CONTEMPORANEO

Dalle veneri del paleolitico, sculture-idolo che identificano la donna come terra e madre e quindi come forza generatrice, al sorriso ineffabile delle korai greche, ai corpi perfetti della statuaria classica, nei quali la sensualità è sublimata in una suprema grazia, agli sguardi insieme rassicuranti e temibili delle icone bizantine, alle fantasmatiche preziosità materiche delle principesse del gotico internazionale, ai volti eterei del rinascimento, all’opulenza invitante delle carni barocche, all’enigma delle forme sinuose delle figure simboliste, ai corpi deformati e scomposti, segno della nuova totale visione del reale e della donna che caratterizza tutta l’arte contemporanea…

…qualsiasi forma di espressione artistica nel corso della storia ha rappresentato la figura femminile.

Ogni società, dalla meno organizzata alla più evoluta, che abbia voluto lasciare testimonianza di sé attraverso l’arte ha declinato di volta in volta il femminile come divinità, mito, madre, forza, energia, mistero, simbolo della vita, del bene e della bellezza assoluti ma anche dei loro opposti, morte, male, bruttezza, donna madre-Vergine ma anche strega-Diavolo, l’eterno binomio eros-thanatos.

Guido Angeletti ha significativamente scelto di intitolare la sua serie dedicata all’universo femminile Le nostre donne: non le “sue”, ma le “nostre”, poiché la rappresentazione del femminino non appartiene se non relativamente al singolo: è sempre riflesso di un sentire ampio, epocale, delle convinzioni più radicate di una civiltà in un determinato contesto storico e culturale. Le diverse opere dello scultore narrano non a caso un femminile contemporaneo, colto nelle sue infinite contraddizioni: una donna fisicamente solida ma flessuosa, spesso dal volto quasi androgino, spavalda e timorosa, concreta e sognatrice; una creatura che non è possibile comprendere in tutte le sue sfaccettature, inaccessibile nella globalità e perciò sfuggente alla possibilità di classificazione, alla rassicurante certezza di una nomenclatura scientifica. La donna equivale quindi al mistero, elemento che lo stesso Angeletti ha indicato come primario nella sua narrazione del femminile.

Ci si ricollega al simbolismo, prima corrente artistica che ha identificato il mistero, l’inconoscibile quale essenza della donna: eroina nera della negazione della ragione positivista che tutto ordina e domina, incarnazione dell’istinto che non si può controllare e quindi destabilizza la società. E’ la femme fatale che affascina, incanta, seduce, distribuendo con la stessa sublime indifferenza piacere e morte. Come scrive lo psicanalista Enrich Neumann nel suo studio sulla realtà simbolica della Grande Madre “se il mondo, la vita, la natura, la psiche sono stati esperiti come Femminile che genera e nutre, protegge e riscalda, anche i loro opposti vengono percepiti nell’immaginario del femminile: morte, distruzione, pericolo e bisogno, fame, mancanza di protezione sono vissuti dall’umanità come un soggiacere alla madre oscura, terribile”. Non esiste mistero più insondabile.

Ma l’epoca simbolista è anche il tempo di Casa di bambola di Ibsen (1879), dove l’inquietudine raggiunge il massimo grado nella persona di Nora, la donna che rifiuta di ridurre la propria esistenza ai ruoli stabiliti di moglie e madre: un elemento ben più pericoloso dell’implacabile seduttrice che divora l’uomo attraverso il desiderio fino a renderlo schiavo in un cieco, idolatrante annullamento. L’opposizione alle regole da parte dell’elemento femminile genera in ogni società paura da parte dell’establishment maschile, sia esso religioso, familiare o politico: e la ribelle viene allora punita, obliterata, ridotta violentemente dal massimo di forza oppositrice al minimo della volontà, trasformata in un essere dimezzato e sottoposto alla cattura fisica ed alla cattività psicologica. Questo lato debole emerge in un’opera come La Preda, ma tutte le sfaccettature e le contraddizioni del femminile emergono dalle figure di Angeletti.

Alla donna tentatrice, ingannatrice, che opera attraverso la malia per portare a termine i suoi scopi è legato anche un altro tema dello scultore bolognese, ovvero la maschera: esibito con evidenza nella scultura intitolata Maschere, più velatamente richiamato in “Intimo” (in cui gli occhi sono velati da una benda), in Lacrime (nella quale una parte del volto è “mascherata” nel senso di “celata alla visione” da un elemento curvilineo) e in Enigma (dove un secondo viso che emerge a lato del capo è, a tutti gli effetti, una maschera). In Maschere i due volti sovrapposti alla figura sono a tutto tondo e suggeriscono richiami ancora una volta cari al simbolismo: si tratta forse di una novella, moderna, impenetrabile Giuditta fiera della sua affermazione di sé? O più propriamente di una Salomé, una Salomé che non indossa una sfolgorante corazza di gioielli ma è gioiello essa stessa nella lucentezza della sua patina? (Non va dimenticato che Angeletti nasce come orafo). Ma qui non è la seducente figlia di Erodiade, ritratta da Wilde con la tiara dell’anticristo, non appare il torbido misticismo dell’Apparizione di Moreau o la crudeltà raffinata e priva di orpelli di Beardsley, la testa non è quella del Battista, una testa altrui, ma qualcosa che nasce dall’interno, dalla carne stessa della protagonista. Una rinnovata rivisitazione dei vangeli apocrifi che vogliono la stessa Salomé morire per decapitazione: la figura non reca con sé la sua vittima, reca se stessa in quanto vittima, si fa portatrice di angosce legate ad una situazione di personale, segreto disagio e insieme delle difficoltà, della crisi globale di un ruolo femminile che non si riconosce più negli stereotipi imposti dalla società. O meglio porta (e sopporta o cerca di sopportare) una molteplicità di ruoli, di maschere difficile da indossare, da sostenere, così come da togliersi, da smettere di indossare.

Maschere è infatti costruita su una fitta rete di corrispondenze, reiterazione, di doppi: la presenza non di uno, ma di due volti sovrapposti alla figura moltiplica le referenzialità, le ambiguità, i limiti tra finzione e realtà, gli scambi tra ritratto e maschera, tra la maschera stessa e la nudità della figura.

I concetti di maschera e nudità introducono ad un riferimento molto caro allo scultore, ovvero a Pirandello, in particolare alla raccolta dei testi teatrali intitolata “Maschere nude”: la maschera cela il sé più profondo agli altri ma soprattutto a noi stessi e ci porta o alla frammentazione dell’io che si perde nella confusione assoluta o alla ricerca devastante e profonda del proprio essere. E non a caso nell’opera di Pirandello sono le donne a rinunciare alle maschere imposte dalla società, pagandone le conseguenze. Angeletti attraverso le sue opere riflette anche sull’altro tema pirandelliano del “doppio”, che è in rapporto biunivoco, sinonimico con la maschera: è doppio la Donna che cammina, lo stesso corpo unito ma scisso nel quale le due metà sono rimontate senza coincidere, così da costruire l’ossimoro di una figura che va nello stesso momento in due direzioni opposte. Ancora una volta la donna in bilico tra contraddizioni, realtà inconciliabili che cerca testardamente di far convivere in una unica dimensione. Ma, come dimostra Pirandello, anche se si cerca di dominarlo come furbescamente e poi disperatamente fa Mattia Pascal, il doppio e le sue generazioni infinite si possono concludere solo nella inevitabile disintegrazione in uno, nessuno, centomila.

Ed è la metamorfosi indotta nell’io dal doppio a generare le linee deformate ed elegantemente sinuose di opere come Sognatrice e Libera?, tra le più interessanti di questa serie. Libera? in particolare sembra sintetizzare - in una composizione che esula da una troppo aperta narrazione e resta in bilico tra movimento e stasi- volontà e impossibilità, ribellione e sottomissione: l’antinomia delle Nostre donne.


Claudia Andreotta

specialista in Beni Storico Artistici






LE DONNE DI GUIDO

Le opere dello scultore-orafo Guido Angeletti sono una sintesi eloquente di cosa significhi potenza plastica associata all’urgenza della contemporaneità. E cosa c’è di più pressante oggi della condizione della donna e del suo ruolo in questo mondo?

Nella loro apparente spontaneità e immediatezza queste sculture lucenti come gioielli sono rivelatrici di un forte spirito innovatore innestato su una fine sensibilità, che trova la sua cifra elettiva nella semplicità e nella purezza delle linee, nel tentativo di rompere schemi mentali preconcetti per ridare respiro alle forme ed ai pensieri. Per Angeletti non è tanto la materia, sebbene evoluta, a rendere moderno un oggetto, quanto la sua costruzione nello spazio attraverso nuove modalità, slanci vitali, palpiti universali. Ecco perché la sua arte attira sia l’osservatore più aperto e smaliziato, intollerante di ogni retorica, sia un pubblico avvezzo alle convenzionalità del gusto.

In effetti, pur rifacendosi a modelli noti, Angeletti sembra ricercare soluzioni originali coniugando nitidi stilemi classicisti con tentazioni simboliste ed espressioniste. Tanto più che in lui la fantasia non è meno imperiosa della ragione, né meno ardita della perizia tecnica delle sue mani (il metodo prediletto è quello della fusione in allumino e bronzo con la tecnica della cera persa).

Le sue donne, in particolare, possiedono un’aura metafisica, talvolta idealizzate nel mito o esaltate come apparizioni poetiche, talaltra trasfigurate in un sogno ad occhi aperti sulla realtà quotidiana, mai rinnegate, nemmeno quando in apparenza evocano geometrici manichini. Ferme nel loro dinamismo volumetrico (il che suona quasi un ossimoro), palesano una tensione drammatica poderosa, sorvegliata tuttavia da forme ligie ad un precetto stilistico che nasce da un’intima persuasione.

Dai suoi materiali (metalli, ma anche resine) Angeletti trae un microcosmo pulsante che a volte pare lanciare un urlo e a volte chiudersi nel silenzio pudico dei sentimenti, in cui ogni tratto è concepito per offrire testimonianza di umanità e verità.

In queste sculture, dove le lucidature a specchio si alternano a testurizzazioni e patinature classiche, si avverte sovente l’eco di un conflitto fra due opposti, permanenza e caducità, bene e male, vero e falso… E su questi profondi dissidi l’artista ha definito la propria identità culturale ed emotiva, in un dialogo con la natura femminina che scaturisce dall’inconscio, ovvero dai più profondi recessi della memoria atavica, per affidarsi ad allusioni metaforiche che attingono al presente.

Angeletti dimostra così come la sua arte abbia qualità estetiche pari a quelle morali, superando la durezza della materia e affidando ad essa i moti di persone dalla forza antica, la cui energia è quella dell’eterna lotta della libertà con le costrizioni, della autonomia di pensiero nella dinamica soggettiva con i problemi di ogni giorno.

L’amore disinteressato per ogni creatura vivente, nella fattispecie “le nostre donne” nella loro fragilità, ma anche nella loro potenzialità creativa infinita, è il fil rouge di queste preziose opere, che racchiudono situazioni spesso ardue e figure intimamente complesse in una dimensione di purezza e semplicità che invita al riscatto.


Sonia Sbolzani

critico e giornalista






Volti blu, dorati o apparentemente disumanizzati, brillanti e con parti espanse, corpi “liquidi” alla Salvador Dalì o alle forme fluide di Henry Moore; le sculture di Angeletti ritornano ai grandi modelli non solo della grande scultura ma anche della pittura, poiché ripercorrono con originalità i canoni dei massimi capolavori della tradizione artistica.

Segni evidenti sono le sue teste geometriche che guardano a Modigliani o le forme più spezzate accostabili a Picasso. Ma le difformità nella scultura di Angeletti sono soprattutto il risultato di un’indagine sul corpo, che lui consacra con esiti sempre diversi. A volte sono “statue” dagli occhi bendati, lucenti ed estroflessi, altre volte plasmano forme completamente nuove. Motivo per cui provocazione e tradizione camminano di pari passo in Angeletti.

Se, come è evidente nella “Sognatrice”, ci sono moduli che avvolgono il corpo della scultura della donna con una scelta estetica dal sapore antico - come nell’arte della Mesopotamia o dell’antica Grecia - è vero anche che più spesso sono forme inedite e ricreate secondo paradigmi nuovi, in particolare nella linea della scultura femminile che presenta spesso un ventre inciso o un addome rigonfio. Perché violato e comunque fecondo? Segno dell’oltraggio che è stato inflitto nei secoli alla donna? Opere che ci inducono a riflessioni approfondite sul destino dell’umanità, che ci invitano a formulare domande, pongono questioni aperte all’attenzione di tutti.

E’ per queste figure emblematiche che sono sculture ipercontemporanee, tirate a lucido, come le opere di Cattelan, o superfici fluide e specchianti che talvolta assumono persino la forma di una struttura architettonica complessa, riuscendo a riconciliare contemporaneamente l’antichità con gli argomenti più recenti dell’arte contemporanea.

Emerge quindi un pullulare di stimoli creativi in Angeletti, ragione per cui ho accettato volentieri l’invito di Mariapia Ciaghi, alla quale sono ormai legata da un vincolo di stima reciproca e di intese artistiche.


Paola Valori


Micro Arti Visive




“Improbabili Paesaggi” Certi

Chi sceglie di fare della scultura la forma principe del proprio pensiero e il mezzo privilegiato di comunicazione con il mondo, dissemina in decenni di lavoro una infinita serie di studi, disegni, progetti, pitture, oggetti, prove e liberi divertimenti, che le priorità imposte dal mercato e da un sistema dell’arte codificato su poche ma chiarissime regole, rischiano di relegare al chiuso dei laboratori.

In un mondo che corre alla velocità della luce ed impone ritmi e scelte a chiunque decida di confrontarsi con un panorama pubblico Guido Angeletti ha sempre coltivato un’autonomia di pensiero e di azione che lo hanno portato a vivere e lavorare una infinità di materiali. Al chiuso, direi al sicuro, di un laboratorio che, se non nelle misure, è grande per le possibilità di lavorazione offerte dalle centinaia di attrezzi cercati e puntigliosamente raccolti in una vita interamente dedicata alla ricerca e sperimentazione, l’artista ha dato spazio ai suoi bisogni costruendo un mondo che solo in parte è stato reso pubblico.

Nella vita quelli che sembrerebbero essere i limiti e la poca attenzione che l’artista pone nelle relazioni, quel suo dichiarare senza timore che lui del suo lavoro non parla, sono nella realtà ampiamente ammortizzati dal profondo sodalizio umano e artistico che porta Elisabetta, la moglie, ad occuparsi di quello che il marito, molto furbescamente, evita. La formula ben codificata messa in piedi dai due nel tempo si è andata perfezionando ed anche stando con loro per pochi attimi è subito evidente il commovente gioco delle parti con cui vivono le diverse situazioni con una specie di naturale e spontaneo passaggio del testimone da uno all’altro e ognuno a sostegno dell’altro.

Lasciando da parte il caso che è ampiamente dimostrato non esistere, sono davvero strane, e per certi versi impreviste, le combinazioni che portano lo scultore Guido Angeletti a presentare solo oggi, per la prima volta, la sua produzione pittorica opportunamente selezionata e ordinata in questa piccola personale di Massa Marittima. Questa finestra che all’improvviso si apre su una parte del lavoro sino ad ora mai mostrata, aggiunge elementi altri e inaspettati che invece di mettere in discussione il conosciuto, dialogano bellamente e amichevolmente con quanto apprezzato ormai da decenni.

Non so come sia possibile questo miracolo. Non so come le sculture e i gioielli che richiedono calcoli al millesimo delle proporzioni e dell’uso, dialogo e rapporto tra i diversi materiali, siano insieme, a braccetto, con questa novità delle pitture che non si vergognano di dichiarare, godere e vivere delle libertà di movimenti che agli altri, ai solidi, non sembrano essere concessi.

Pagine di pitture, queste che raccontano l’altro pensiero di Angeletti, quello in cui il colore scorre, dilaga e si rincorre sorretto e tenuto assieme da una lucidità disarmante e una voce sussurrata che si fa potenza.

Eccoli lì, questi “Improbabili Paesaggi”, insieme a tutto il resto, figli, fratelli e sorelle dello stesso mondo.


Franco Profili

critico e curatore




GUIDO ANGELETTI

Le sue figure femminili portatrici di energia e libertà nel tempo

Guido Angeletti scultore, pittore e orafo nato a Bologna, in particolare attraverso la scultura conduce verso il mistero e l’ignoto, verso il cambiamento e la trasformazione che apre alla libertà, e ai ruoli che l’individuo assume nel percorso esistenziale. Con eleganza e originalità passando dal mito alla storia, dalla tradizione alla modernità, nelle sue sculture (in bronzo e alluminio) si sofferma sul ruolo della donna quale presenza che infonde energia creativa e armonia nel mondo e sulla sua condizione all’interno di una società spesso chiusa. In questo suo contesto invita a riflettere sul rapporto tra verità e finzione giocato attraverso il simbolo della maschera che nasconde la vera identità creando chiusura come in “Maschere 1”, o sul mistero che affiora in “Enigma” e ancora sul sogno quale atto creativo e motivo di fuga tanto caro all’immaginazione della “Sognatrice”. Queste le sue parole: “L’esperienza maturata nella creazione di gioielli in vari metalli mi ha condotto a realizzare le sculture recenti in alluminio e bronzo con l’intento di voler congelare nella materia più durevole un pensiero o un’idea”.

Il bronzo levigato, testurizzato e patinato e l’alluminio lucidato a specchio restituiscono alle sculture originalità e una bellezza insolita e avvolgente che sublima nel costruire diversi luoghi di ascolto delle emozioni di cui la figura femminile è protagonista. Figura cui infonde energia ed eleganza, mistero e meraviglia tra realtà e sogno, verità e finzione: accanto a “Tabù” dove il proibito diventa possibile e a “Donna che cammina” in cui è espressa la fierezza e la sicurezza che accompagnano la figura di donna, sono “Creativa” con il corpo tatuato da disegni e simboli a scandire l’essenza fantasiosa propria dell’universo femminile e “Relazioni” dove due teste descrivono il percorso di avvicinamento. Il legame assoluto con il proprio vissuto interiore è catturato nella figura “Intimo” dove il volto di donna bendata è proiettato verso l’alto come ad afferrare un pensiero nascosto e impercettibile, e poi di forte impatto visivo ed emotivo sono “Libera?”, “La stessa mano” e “Lacrima”. In quest’ultima il dolore sembra congelato entro un’espressione immobile quasi assente dal contesto che la circonda. Sculture che, come le precedenti cui si è accennato all’inizio, indicano una riflessione sul ruolo della donna nel contesto umano e sociale: attraverso cui soffermarsi sui suoi sogni, aspirazioni, desideri spesso lasciati in sordina, ma anche sulla sua capacità di reagire grazie alle energie innate e a al suo ruolo di figura generatrice di idee, aperta al nuovo e al cambiamento e protesa verso la libertà e ad una vita in cui respirare armonia anche in rapporto a quanto appartiene alla natura.

Guido Angeletti ha esposto in diverse città tra cui Milano, Bologna, Roma, Livorno, Grosseto.


Silvana Lazzarino

giornalista e curatrice